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La produzione di Cordoni a Roma, nel '600, è documentata da numerosi atti testamentari di cordai romani, raccolti da Patrizio Barbieri, ma finora era ignoto come fossero realizzati: si sapeva solo che erano destinati ai bassi degli strumenti musicali.

E’ stato solo grazie al mio caro amico Adrien Alix, gambista e contrabbassista, che sono venuto a conoscenza di un documento di fine '500, di argomento peraltro estraneo alla corderia storica, in cui incidentalmente l'autore spiega come erano fatti i cordoni: due soli capi, ma ritorti al massimo.

In realtà il documento non dice tutto, e vi è un segreto supplementare che ovviamente non posso rivelare, grazie al quale si possono realizzare corde identiche a quelle dei pochi esempi iconografici superstiti, ossia caratterizzate da una superficie molto rugosa, con la torcitura dei budelli in forte rilievo. Solo con una drastica operazione di rettifica è possibile rendere relativamente liscia la corda, col rischio però di indebolirla alla trazione.

Si sconsiglia pertanto di evitare l'uso di Cordoni di Roma ad esempio per il il Re del Violoncello, che è sottoposto ad una forte tensione ed ha uno spessore troppo ridotto per resistere alla rottura, mentre per quasi tutti gli altri strumenti difficilmente crea dei problemi.

I Cordoni di Roma sono stati pertanto in epoca barocca l'unica alternativa per i bassi, insieme alle corde appesantite (ammesso che siano state realmente prodotte in antico, ipotesi purtroppo difficile da dimostrare con certezza), alle corde filate in argento prima dell'invenzione di quest'ultime nella seconda metà del '600.

Nonostante il loro spessore e la loro rugosità sono comunque delle corde molto morbide e quindi pronte all'attacco e ricche di armonici, per cui sono consigliabili per chi voglia eseguire la musica barocca in maniera rigorosamente storica, oltretutto risparmiando rispetto all'acquisto di Appesantite in rame o di Cordoni Cordedrago, molto più complessi da realizzare e quindi costosi.

 

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